TREVISO ‘900
Opere, artisti, esperienze e
percorsi del novecento trevigiano e veneto.
Le distruzioni e i dolori della grande
guerra, combattuta con il fronte austro-italiano buona parte in
Veneto, non aveva assolutamente risolto le radici nazionalistiche
presenti in Europa.
Qualche decennio appena e il deflagrare
del secondo conflitto mondiale coinvolge nuovamente l’Italia, e il
territorio trevigiano porta tuttora il ricordo della ferita dovuta al
bombardamento anglo americano del 7 aprile 1944.
La delusione per la misera fine delle
grandi aspettative cullate durante il ventennio, migliaia di vite
perdute, la miseria post bellica e la nuova ondata di emigrazione, il
sogno della ricostruzione materiale e sociale del paese, che cede e
barcolla, sino agli anni ottanta, sotto la spinta
dell’estremizzazione politica, sono il contesto sociale, la cronaca
quasi quotidiana, che ha accompagnato e spesso, inevitabilmente,
ispirato l’opera dei nostri artisti.
Vi è quindi, un fronte delle emozioni
condivise, vi sono sentimenti, angosce ed esperienze comuni:
l’angoscia della catastrofe o del bombardamento, la commozione e
l’incredulità di fronte alla fine della guerra, l’incertezza
della guerra fredda o lo sbigottimento di fronte alle tante stragi.
Lo scopo della Mostra è, per quanto
possibile, ripercorrere tali sentimenti e l’opera d’arte in
quanto catalizzatrice di emozioni, funge da chiave di lettura
condivisa , in cui il micro cosmo dell’artista si espande al
macrocosmo delle soggettive reazioni, di fronte all’oggettività
degli accadimenti.
L’esposizione non ha alcun intento
antologico di presentare il panorama completo dei movimenti e delle
esperienze, ne vuol essere il caleidoscopio degli artisti che hanno
caratterizzato il secolo breve.
Nessuna pretesa quindi, ma un grande
auspicio affinché l’arte e la cultura in generale sia promotrice
e motrice dell’accrescimento morale e culturale, per la città e il
territorio.
La mostra
Con Luigi Serena e il suo “Donne al
pozzo” si da lo spunto di partenza del ‘900 trevigiano, lo
accompagnano le opere di quei pittori, Teodoro Wolf Ferrari, Emo
Mazzetti ed Erma Zago, Pietro Fragiacomo che seppero rinnovare la
pittura ottocentesca dei loro maestri, grazie al loro sguardo
rivolto alle innovazioni d’oltralpe.
Con l’esperienza di Cà Pesaro e di
Burano, una nutrita schiera di onesti innovatori sceglie
“l’Avventino” piuttosto che adeguarsi alla paludata arte delle
Biennali d’inizio secolo.
Con essi la pittura nostrana gareggia
alla pari, seppur con successo assai minore, con i movimenti
europei: Springolo, Ravenna, Cancian, Coletti sono tra gli alfieri di
questo momento.
Tra loro emerge l’astro incompreso e
geniale di Silvio Bottegal, che sapeva cogliere l’umile poesia dei
luoghi e delle genti, grazie alla tenace volontà di evitare
pittoricismi accattivanti e mantenere fede all’essenzialità
pittorica, come traduzione figurativa della sua vena letteraria
fortemente realista.
Significativa delle esperienze a Burano
è l’opera del veneto d’adozione Pio Semeghini, massimo esponente
della seconda generazione di pittori legati alla piccola isola
lagunare, con il suo “Orti” caratterizzato dalla semplice ma
elevata poetica, la pittura si fa alito di colore, la tavola di
supporto traspare ed è intesa come rappresentazione di
un’apparizione lieve, trasognata, di panica essenza.